IL COLERA A EMPOLI

(1835-1836-1837-1849)

Gran Bretagna, Paesi Bassi, Europa centrale, Francia, nel 1832 il colera bussava alle frontiere italiane, era ormai solo una questione di tempo ed il contagio avrebbe colpito anche le città del nord Italia, che infatti si stavano già organizzando creando “lazzeretti” nella speranza di non farsi trovare impreparate.

Nel 1835 i primi casi si palesarono a Livorno, La diffusione in città fu velocissima e migliaia di livornesi in fuga dal colera si diressero verso l’interno della Toscana, portando il contagio anche in citta’ e paesi distanti dalla costa. Fu infatti da Livorno che l’epidemia si diffuse nell’ empolese. Sono moltissime le notizie che si possono trovare sul decorso del contagio a Empoli e Limite grazie ad un pool di medici e chimici che non solo combatterono la malattia sul campo a rischio della loro vita (il Dr Fucini di Limite non solo morì per i postumi del colera ma ebbe la famiglia decimata quando in seguito alle cure prestate al primo infetto documentato “portò la malattia” a casa sua), ma fecero anche altro. Questo pool ebbe anche un approccio moderno nel combattere la malattia con un continuo scambio di informazioni, gestione dei casi, elaborazione di cure condivise ed esame anamnesico dell’ ambiente (macrozona: il territorio) (microzona: ambiente di vita dei contagiati).

Prima di elencare i primi casi che portarono il Colera “da noi” è doveroso elencare questi combattenti:

Pietro Betti: chirurgo a S.Maria Nuova e insegnante di istituzioni chirurgiche. Nominato responsabile dei lazzeretti toscani durante l’ epidemie di colera;

Antonio Salvagnoli Marchetti: medico, coordinatore degli interventi contro il colera nellempolese, in seguito per l’efficenza e preparazione dimostrata fu nominato Medico Ispettore della Commissione Sanitaria Grossetana (amico del Dr Turchetti elencato di seguito);

Odoardo Turchetti: medico condotto nominato dal Governo come sostituto del Dr Fucini fino alla fine dell’emergenza colera;

Fucini: medico condotto nel comune di Limite, curò i primi malati nel suo comune, riconoscendo la malattia e attivando il gruppo di esperti che subito dopo iniziarono il loro lavoro;

Prof.Cav. Targioni Tozzetti: chimico, inviato a Empoli e Limite per lo studio degli ambienti e dei pozzi;

Pandolfi Andrea: medico, nominato responsabile dei lazzeretti empolesi. Col Dr Pandolfi viene citato lo stretto collaboratore Dr. Susini.

Una menzione particolare la merita la Misericordia di Empoli che fu parte itegrante del soccorso agli infetti e ricorderemo con l’elogio dedicato alla “Venerabile Arciconfraternita” dal Cav. D. Luciani inserito alla fine del post.

I PRIMI CASI (Limite):

  1. “Il paziente numero 1”, come si dice oggi fu Antonio Caparrini (limitese) lavorante presso la villa del Marchese Cosimo Ridolfi. Il Dr Fucini dopo aver visitato il Caparrini tornò a casa e si cambiò degli abiti, abiti dei quali si occupò la madre del chirurgo, Ancilla Fucini (60 anni) rimanendo infetta e morta pochi giorni dopo. Ancilla fu la prima delle vittime di casa Fucini, morì poco dopo il padre del medico, Lorenzo. Seguirono altri 5 morti nella famiglia

  2. Il secondo paziente contagiato fu Cecchi Jacopo, anche lui visitato dal Dr Fucini, il Cecchi a differenza del Caparrini guarì.

  3. Dopo i primi due malati un terzo caso, Angiolo Bini, si manifestò a Limite. In un paese che contava al tempo circa 600 abitanti è facile immaginare l’angoscia che iniziò a diffondersi.

Il manifestarsi della malattia attivò il pool di esperti ed infatti il Salvagnoli riferisce a Pietro Betti la relazione che Targioni Tozzetti preparò nei giorni successivi. Ricordiamo che la maggior parte delle informazioni riportate derivano infatti dai riscontri che i medici condividevano tra di loro.

Nel suo studio degli ambienti di Empoli e Limite Tozzetti non rileva per la prima nessuna criticità, criticità che invece trova per Limite evidenziando che le acque in arrivo dal Montalbano non fluivano facilmente in Arno, rilevava inoltre che lo stesso Monte Albano creava un pericoloso ristagno di aria sul paese. Altro problema esistente in Limite era presentato dalla grande fabbrica di candele in sego. Queste informazioni portarono il Dr Turchetti a dichiarare nelle sue considerazioni finali che: “-io sarei propenso a considerare le cause intrinseche al paese come preparanti e fomentanti, e le estrinseche come occasionanti ed efficienti la malattia”.

Per quanto riguardava la ricerca dei contatti tra i contagiati e possibili cause si scoprì che il Caparrini aveva dato ospitalità ad una livornese in fuga dalla città. Stessa cosa avevano fatto gli altri ammalati, sia il Cecchi che il Bini convivevano da giorni con famiglie scappate da Livorno. Il Dr Fucini aveva avuto invece contatti diretti con tutti e tre.

I PRIMI CASI (Empoli):

Anche a Empoli molti livornesi erano ospitati da giorni in città e frequentissimi erano i contatti commerciali con Livorno, sia tramite la strada postale Firenze-Livorno sia tramite i navicelli in Arno. Contatti che furono immediatamente sospesi grazie ad un cordone sanitario che venne creato al diffondersi dei primi casi di colera. Fu infatti un navicellaio di Avane il primo contagiato empolese:

Gaspero Allegri: appena rientrato col suo navicello carico di merci da Livorno, dove aveva sostato per 3 giorni mostrò i segni della malattia. Nel periodo passato a Livorno L’Allegri aveva visto morire il figlio di colera.

Vannini (anni 35): navicellaio, di sana e robusta costituzione era morto pochi giorni dopo l’ Allegri;

bambina di casato Lupi (nome sconosciuto): morta 2 giorni dopo il Vannini;

bambinaia del figlio del Deputato Giuliano Ricci: fuggita da Livorno, la famiglia Ricci si era rifugiata nella villa di Gricciano. Ai primi segni della malattia erano stati chiamati i medici di Montespertoli che si erano rifiutati. La donna fu salvata dalle cure del Dr Salvagnoli;

profugo livornese: già ammalato era accompagnato da un barrocciaio, prima di entrare in Cerreto Guidi furono affrontati da una folla inferocita che non li fece entrare in paese. Al barrocciaio non rimase che dirigersi a Empoli e lasciare l’ammalato alle cure del Dr Pandolfi che lo ricoverò nel lazzeretto di Avane.

Questi i primi casi che colpirono Empoli. Se per la bambinaia del Deputato Ricci, del profugo e dell’ Allegri fu facile trovare il collegamento con Livorno per gli altri due fu più complicato stabilire i contatti finchè non furono così ricostruiti: il Vannini, navicellaio come l’Allegri si era recato a trovarlo il giorno precedente a quello in cui si manifestarono i sintomi. La bambina era invece rimasta contagiata dagli abiti dell’ Allegri. Il Salvagnoli dopo aver visitato Gaspero Allegri aveva ordinato di bruciarne tutti gli abiti e pagliericci. Gli abiti in attesa di essere bruciati erano entrati in contatto con la bambina.

Dopo che nel primo periodo la malattia rimase circoscritta a pochi casi negli anni successivi si diffuse largamente.

Il Dr Pandolfi elencava così i casi Empolesi nel 37:

Empoli 166 casi

Avane 47 casi

Pontorme 25 casi

S.Maria 26 casi

Pagnana 8 casi

Marcignana 1 caso

Riottoli 10 casi

Cortenuova 17 casi

S.Giusto 2 casi

Monterappoli 17 casi

Bastia 3 casi

Corniola 1 caso

Ponzano 1 caso

Brusciana 1 caso

TOTALE 325 casi

Il colera venne considerato debellato a fine 1849 con quello che il Dr Salvagnoli definisce il metodo Turchetti. Da sottolineare l’abbondante utilizzo di “oppio” come antidolorifico.

ELOGIO ALLA VENERABILE ARCICONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA EMPOLESE

“Quello stabilimento (Misericordia di Empoli) potrebbe onorare qualunque città, anzi, così netto, così ampio, così ben ordinato, così cristianamente condotto, da destare meraviglia e riverenza, non è tanto facile ad osservarsi in altri paesi civilizzati. Ivi ammassi di biancheria da darsi ai poveri, e colla biancheria anche l’ elemosina del denaro. Nè si creda che abbia rendite di beni; no; tutto si regge sulla tassa di 2 lire all’ anno dei fratelli, e su quel di più che possono accumulare da qualche elargizione; ma l’amministrazione si compie col suggello della carità, e tutto si opera collo zelo proprio di essa. La biancheria passò anche allo spedale di Avane, e per tutto penetrò lo spirito de’ suoi benefizi. Si fecero le lettighe per i trasporti ed i colerosi ad ogni momento confortevolmente furono trasportati. Mancavano gli assistenti nelle case, mancava chi si prestasse a qualunque utile ed indispensabile operazione; e dodici sempre di turno prestavano giorno e notte la loro assistenza ai malati a domicilio. Bella e santa lezione per quei paesi dove ebbe luogo l’ emigrazione delle principali famiglie”.

Fonti: 1° e 2° considerazione sul colera asiatico che contristò la Toscana dal 1835;

documenti annessi alla considerazione sul colera asiatico che attristò la Toscana dal 1835;

Gazzetta medica Italiana federativa Toscana vol.2 1856.